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LA TERRA DELL'ABBONDANZA
(LAND OF PLENTY)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 giugno 2005
 
di Wim Wenders con John Diehl, Michelle Williams, Richard Edson, Wendell Pierce (Stati Uniti, 2003)
 
Girato due anni prima del DON'T COME KNOCKING preso sottogamba a Cannes poche settimane fa, LAND OF PLENTY dimostra una volta ancora come l'anima di Wim Wenders sia divisa in due. Il medesimo cinema, generoso, visionario come quello di pochi altri; certo, trascinato dal proprio entusiasmo ai confini dell'enfasi. Ma due modi di pensarlo: alla grande, lievitato dalla respirazione e dall'aspirazione ai miti cinematografici e altri, dai riferimenti culturali e non soltanto pittorici che si fanno sociali, dal ricorso all'attore carismatico. In questi casi il risultato è DON'T COME KNOCKING; o il film fin troppo ovviamente avvicinato, PARIS TEXAS. Ma c'è un secondo Wenders, quello che lo ha reso celebre con gli ALICE NELLA CITTA', FALSO MOVIMENTO o IM LAUF DER ZEIT; quello di BUENA VISTA SOCIAL CLUB o di questo LA TERRA DELL'ABBONDANZA. E' il medesimo regista goloso di paesaggi da scavare, materiali o umani che siano; ma che ha compiuto un bagno di umiltà, usava il bianco e nero e ora la camera a spalla, trasforma il supporto digitale fornito da una videocamera non necessariamente sofisticata, tralascia il distacco colto, raffinato e referenziale dallo sfondo per una intimità più semplice e diretta, un rapporto con l'ambiente quasi documentaristico.

Questa ambivalenza del cinema di Wenders è evidenziata in LAND OF PLENTY dal fatto che si tratta di un film costruito su due poli: opposti, anche se destinati a fondersi, contrari e contradditori, anche se destinati a ricongiungersi sul dramma per eccellenza di quell'America oggetto da sempre dell'amore-odio del regista tedesco, il crollo delle Due Torri. La sceneggiatura (non la cosa più geniale del film) ci racconta allora di due Americhe che s'incontrano. Quella della giovane Lana, cattolica e pacifista, fin tanto animata da sentimenti ecumenici, di certo consapevole della diffidenza, per non dire altro suscitata dal suo Paese; ritorna in patria, dopo essere cresciuta in Africa ed in Palestina, alla ricerca di uno zio scomparso da tempo. E' l'altra America: quella di Paul, patriota sopra le righe, veterano traumatizzato nel Vietnam (non proprio una cosa inedita), carico di tutta la paranoia del dopo 11 settembre, intento a trastullarsi con l'anti-terrorismo, recluso nel suo furgoncino provvisto degli ultimi accorgimenti tecnologici per spiare il prossimo. Il prossimo, possibilmente, scuro di pelle: come quel pakistano senza fissa dimora sospettato di più diabolici intrighi che si rivelerà essere la semplice vittima del degrado ambientale che si nasconde dietro quella California colta cosi significativamente dallo sguardo del regista.

Perché eccolo, il vero soggetto. Come pochi altri al mondo Wim Wenders sa filmare, e quindi significare ciò che di infinitamente più vero si svolge dietro le sue incespicanti ed un po' lunghette novelle: con lucidità rara, ed al tempo stesso con infinita grazia (quelle musiche che degradano dal folk al rock, dal country all'astrattismo elettronico accompagnando la splendida fotografia). Senza prediche, una emozione non finta, con una ironia che potrebbe anche essere più evidente LAND OF PLENTY ci rivela il rovescio della medaglia dei tramonti dorati, dei grattacieli controluce, delle highway che si perdono nel sogno fra i cactus del deserto caro a John Ford. E' l'America dei senza tetto e di ogni sorta di diseredato, della fame, degli invasati e anche solo dei suonati.

E' tutto quanto ci induce a riflettere quanto accade dietro la storia un po' trascinata di quei personaggi un po' improbabili. Ma quel “dietro” rappresenta quanto il cinema apporta, sempre più di raro, di specifico.


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